31/03/09 - Proposta di recupero e valorizzazione del complesso rupestre di San Marco in Platea - il Liceo Artistico collabora con Cittadinanzattiva

SAN MARCO IN PLATEA PREMESSA: Questo intervento è il frutto di una prima rapida indagine sul campo, effettuata nel mese di Marzo, volta a evidenziare presenze architettoniche e iconografiche all’interno del complesso rupestre di San Marco in Platea. In particolare, l’apparato pittorico, risalente ad epoche diverse, risulta molto lacunoso e in gran parte illeggibile. Auspichiamo che un radicale intervento di restauro possa, in futuro, restituire alla città e ad un’analisi scientifica più approfondita, un nuovo interessante tassello di quel ricchissimo patrimonio rupestre di cui la nostra città si fregia. RELAZIONE: Al di sotto di Palazzo Saraceno - Alvino,(1) nei pressi di Piazza Sedile, si ramificano una serie di ambienti in parte costruiti e in parte ricavati nella roccia. Entrando(2–3) è possibile scorgere un profondo spazio scavato che si allunga in senso longitudinale rispetto all’ingresso e che è stato utilizzato, in passato, come cantina(4). Prima di accedere a questo vasto vano rettangolare, sulla destra, si apre un’altra serie di ambienti scavati, definiti in alto da ampie coperture curve che simulano delle volte a botte.(5-6-7) Questo dato è già utile per desumere che ci troviamo all’interno di un antico cenobio, composto da più ambienti, che includeva al suo interno la piccola cappella di San Marco di cui accenneremo in seguito. Occorrerà accertare se il profondo vano cantina faceva già parte di tale luogo sacro o, come spesso accadeva nei Sassi, fu ricavato in un momento successivo(forse il materiale di scavo servì per la costruzione del palazzo che oggi ingloba, in basso, tale area). Probabilmente le indagini future, inoltre, individueranno il possibile passaggio interno tra il palazzo e gli ambienti ipogei. Una piccola rampa di scale, infatti, che si imposta nei pressi dell’ingresso alla chiesa, poteva portare ai piani alti del palazzo(9). Un altro accesso a cui si arrivava da questa rampa, ora chiuso da un cancello, creava un collegamento, attualmente interrotto, con l’area soprastante della Civita che si auspica possa essere ripristinato per favorire la fruizione del complesso rupestre. (10) Come ci ricorda il dott. Mauro Padula nel suo”Palazzi antichi di Matera”:”L’abitazione(dei Saraceno) aveva inizialmente l’ingresso nel recinto San Nicola Castiglione, e non si conosce né l’anno né il nome di chi costruì il primo lotto. La famiglia Saraceno fece sorgere il primo piano che ebbe per base un masso tufaceo nel quale già esisteva una chiesa rupestre(cioè san Marco)”. Risulta evidente, quindi, la preesistenza del luogo sacro rispetto all’edificio e ciò comproverebbe la sua origine medievale. Concentriamoci ora sugli spazi che ci conducono alla chiesetta in rupe(11). Il piano di calpestio originario, del cenobio, è stato abbassato di almeno un metro e per tale motivo, oggi, per accedere al vano sacro è necessario salire tre gradini(12). E’ interessante notare che le pareti che delimitano l’ingresso alla cappella erano ricoperte da apparati pittorici murali, anche consistenti, le cui tracce sono ancora visibili sotto diversi strati di scialbatura di calce.(13-14-15) Sulla sinistra dell’ingresso, infatti, è possibile scorgere tracce di monumentali figure sacre che poggiano su di una pavimentazione dipinta che, simulando un ciottolato, accenna ad un’empirica fuga prospettica.(16) Attraverso un confronto iconografico, tale pavimentazione sembra richiamare quella realizzata per gli affreschi della cripta dei quattro Evangelisti. Le grandi dimensioni delle immagini, infatti, rimandano alla monumentalità rinascimentale, epoca di riferimento per gli affreschi citati. A destra dell’ingresso, inoltre, è visibile una stretta fascia di decorazioni parietali a palinsesto.(17) A completare l’idea di uno spazio, in origine, ampiamente decorato, sulla parete frontale all’ingresso troviamo altre frammentarie tracce di affresco sotto scialbo.(18-19) Solo un accurato intervento di restauro potrà chiarire l’estensione e la tipologia di tali dipinti. Entriamo finalmente all’interno della piccola chiesetta che si presenta con una piccola aula rettangolare (dimensioni 3mt x 3,50). Come si evince dal testo”Chiese e Asceteri rupestri di Matera”: “il tetto è a leggera schiena d’asino” e ha due spazi rientranti sul lato opposto all’ingresso.(20-21-22) L’angusto spazio scavato riproduce nelle dimensioni ridotte una piccola navata, un tempo scandita da 4 semicolonne, che si conclude in un catino absidale affrescato sul lato corto alla nostra destra entrando.(23-24) L’unica semicolonna integra è collocata in posizione quasi centrale frontalmente all’ingresso.(25-26) In linea con questa , a destra dell’ingresso, è visibile l’altro sostegno verticale, oggi in gran parte resecato, su cui si imposta un costolone che definisce la curvatura della volta.(27) Entrando e guardando, invece, i due angoli alla nostra sinistra, percepiamo che qui, un tempo, dovevano essere presenti altre due semicolonne su cui era impostato l’altro costolone che definisce, in alto, il lato corto, opposto a quello del catino absidale.(28) Evidentemente il piccolo spazio sacro ha subito, nel tempo, molti interventi che ne hanno modificato l’originaria struttura. Vediamo, infatti, che a sinistra dell’ingresso, è oggi rimasto solo il capitello che ancora regge la nervatura architettonica arcuata la cui estremità opposta appare ora sospesa nel vuoto, perché manca, del tutto, l’altro sostegno. Di questo si intravede ancora il contorno della forma impressa sulla pietra.(29) Lo stesso ingresso è stato modificato: è, infatti, visibile una voltina posticcia costruita con conci di tufo a vista che ha permesso di rinforzare la copertura dell’accesso, ampiamente interessata da una zona di crollo.(30–31-32-33-34) Altro aspetto interessante di questi sostegni verticali, ricavati nel tufo, è che, come è possibile constatare sull’unico fusto conservato, questi erano completamente ricoperti da fregi decorativi (35). La cosa particolare, però, è che il capitello(35bis), molto essenziale e appena svasato, è sormontato da un elemento trapezoidale capovolto che sembra riecheggiare la forma di un pulvino, su cui si impostavano gli archi nelle architetture bizantine . Questo dato, che è da verificare, potrebbe essere importante per poter azzardare una prima datazione della piccola chiesa o per individuare l’area culturale che ha originato la struttura(affinità culturali si possono rintracciare, anche, in elementi architettonici della Vaglia). A completare in alto l’apparato decorativo dell’impianto architettonico è un essenziale cornicione che corre su parte del perimetro. GLI AFFRESCHI Consideriamo ora le presenze pittoriche all’interno della piccola chiesa di San Marco. Queste sono, come dicevamo, molto deteriorate, ricoperte da scialbature e in gran parte lacunose, quindi ad oggi è molto difficile avanzare delle precise analisi stilistiche. E’possibile affermare che esiste una differenza cronologica tra i dipinti posti nella zona absidale e quelli realizzati sull’altro lato corto. In ogni caso, per quanto rovinati, ci troviamo di fronte ad affreschi che per le particolarità compositive e tematiche che sviluppano, potranno destare l’interesse degli studiosi e dei cittadini. Partiamo dal catino absidale dove ritroviamo le decorazioni parietali più antiche. Subito la prima novità compositiva: un riquadro con un Cristo in croce circondato da Maria e San Giovanni, in posizione decentrata.(37) Alla sua sinistra è stato aperto un varco(oggi tompagnato), che ha distrutto parte della redazione pittorica dell’abside. Al di sotto della Crocifissione corre un’ampia fascia(38) intervallata da medaglioni circolari che ritraevano volti di santi non più leggibili(poteva trattarsi dei quattro Evangelisti? La figura di San Marco poteva essere inserita in una delle cornici circolari?). Per complicare l’interpretazione dell’apparato iconografico, sulla destra della parete concava, si ipotizza la presenza di una frammentaria Annunciazione (39). Questa si sviluppa non in linea con i due livelli decorativi di sinistra ed è in parte tagliata dal varco posticcio(è visibile solo il volto e parte dell’ala destra dell’Arcangelo che pare porgere il giglio, mentre la Madonna, posta alla sua sinistra, risulta acefala e forse seduta dinnanzi al canonico leggio).(40) Se ciò venisse confermato dalla pulitura, sarebbe interessante constatare la compresenza all’interno del medesimo spazio absidale del tema della vita e morte del Cristo, quasi una riflessione escatologica sul destino dell’uomo stesso. La matrice stilistica dell’Annunciazione può essere ricondotta a quella vena tardo-gotica di ispirazione popolare che è rintracciabile in diverse chiese rupestri locali, in particolare il rapporto tra il guizzante volto dell’arcangelo(41), posto di scorcio rispetto all’osservatore, ci sembra riecheggiare l’essenziale naturalismo del San Pietro martire di San Nicola dei Greci, datato verso la fine del XV secolo.(42) Il volto tondeggiante, i tratti fisionomici eleganti, gli occhi vivi, la posizione scorciata ma anche il modo di trattare la decorazione dell’aureola con piccole perline, inducono a individuare tale riferimento culturale. La Crocifissione(43) con la sua aneddotica capacità narrativa, di stampo popolare, tende a definire i personaggi con espressiva immediatezza. L’essenzialità della struttura formale dei tre personaggi, l’ incongruenza compositiva con l’Annunciazione, (l’ala dell’arcangelo, infatti, sembra in parte sovrapposta alla cornice della Crocifissione) fanno retrodatare alla fine del XIV inizi del XV secolo tale rappresentazione. Questa, in senso attardato, rievoca la devozionalità del Cristo Patiens, umanizzando i rigidi stilemi bizantini che coinvolgevano emotivamente il fedele. Il collegamento culturale con il complesso monastico di Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci, si manifesta ancora nei contatti stilistici che emergono tra i residui frammenti di tre figure di santi poste ad un paio di metri da terra nell’angolo alla sinistra dell’abside.(44) Sono unicamente visibili i busti di tre santi che oggi sono in gran parte illeggibili sia per la consunzione della partitura pittorica sia, per un’apertura posticcia nella parete, realizzata probabilmente per creare una fonte di luce, che deturpa la figura centrale (pur frammentario questo affresco è meglio conservato degli altri due). (45-46)Il santo vescovo posto nell’angolo, non riconoscibile, ma di cui si intravede l’aureola, stagliata su un fondo blu, il pastorale, la dalmatica e, forse, sulla sua destra la mitra, potrebbe riferirsi proprio a un San Marco. Il santo, infatti, a volte viene ritratto in abiti episcopali in quanto si ritiene che nel recarsi ad Alessandria, per predicare il Vangelo, ne divenisse il primo vescovo. La figura centrale, seppur molto frammentaria richiama fortemente l’impostazione iconografica di un San Antonio abate che è appunto conservato a San Nicola dei Greci.(47) Il nostro frammento, di cui si vede solo la parte destra, contrasta con un fondo rosso, che simula una nicchia entro cui è inserita l’immagine sacra non riconoscibile. La porzione destra dell’ aureola è definita, all’interno, da corti raggi impressi. Il capo è ricoperto da un velo che scende sulle spalle del santo con lievi piegature. Questo incornicia un limitato frammento di incarnato che sembra presentare l’attaccatura di una barba, come si evince dal confronto con il S.Antonio abate prima citato. Gli scarsi elementi a nostra disposizione alimentano, però, molte perplessità perché il velo e la linea morbida dell’abito potrebbero rimandare anche ad una figura femminile. Sicuramente il periodo di realizzazione è quello a cui fa cenno Anna Grelle a proposito del S.Antonio in S.Nicola dei Greci: la dottoressa individua un linguaggio tardo gotico che, nel XV secolo a Matera, avrà espressioni eleganti e originali nella chiesa di S.Barbara o nel Convicinio di S.Antonio, dove troviamo un vibrante S.Antuono la cui aureola è a raggi impressi come quella del nostro personaggio. (48)Completamente illeggibile la terza figura ma ritengo possa trattarsi di un personaggio femminile, come il flessuoso collo che regge un volto imberbe, dichiara.(49) Passiamo, ora, sul lato corto della chiesa, opposto all’abside. Qui troviamo un interessante gruppo affrescato di Madonna con Bambino e Santi (50). Questo occupa l’intera parete e due campi rettangolari, posti negli angoli attigui e delimitati, lateralmente, dalla linea che, un tempo, segnava lo sviluppo verticale delle semicolonne, oggi rimosse. Questa zona, utilizzata ultimamente per conservare botti di vino(51) presenta, a circa due metri da terra, dei fori praticati nel tufo per fissare una lampada al neon(52). La difficile lettura delle opere, però, non deriva tanto dall’uso fatto negli ultimi anni del sito quanto per i diversificati problemi conservativi. Dicevo del notevole interesse di tali opere, infatti, queste potranno ancora riservare; nonostante tutto, utili indizi per gli studi storico-artistici relativi al coevo patrimonio pittorico rupestre. In primo luogo analizziamo la composizione che si distribuisce, sulla parete di fondo(53) e che si estende sull’intera superficie della parete anche in senso verticale; l’impianto pittorico, infatti, partendo da terra si sviluppa verso l’alto, fino a lambire i margini della copertura. L’impianto si articola in tre ampi riquadri impostati su un alto zoccolo a finto marmo. Il riquadro centrale(54) è quello più ampio perché, ad una prima sommaria pulitura ha svelato la presenza di una monumentale Madonna con Bambino in trono, molto probabilmente sormontata da altri apparati decorativi, ora sotto scialbo(55), opera di un buon frescante. Il Bambino,(56) dal mento pronunciato, è posto alla destra della Vergine, con il volto inclinato e delicatamente poggiato a quello lacunoso della Madre; l’imponente struttura del trono si imposta su 4 animati ma quasi illeggibili piccoli riquadri di storie sacre(57 - 58 – 59 - 60-61). Gli spunti di novità,però, non sono finiti: ad incorniciare le aneddotiche storie sacre, emergono delle fasce color mattone(62-63-63bis) che sono arricchite da una serie di iscrizioni, in gran parte coperte, da decifrare. E’ leggibile la parola Costantinopoli che potrebbe far riferimento a quello specifico culto Mariano ma soprattutto colpisce una cifra mutila: un 50(oppure 58) (64)che potrebbe attestare la data di realizzazione dell’opera, cioè il 1550 o 1558. La postura monumentale, il costume “alla spagnola” (66)indossato dal Bambino, con corpetto giallo aderente, stretta gorgera al collo e maniche gonfie e merlettate, da un lato confermano che, stilisticamente, le date prima citate sono compatibili con la fattura dell’opera(è inevitabile il confronto con gli affreschi della Cripta dei quattro Evangelisti e di Cristo alla Gravinella) e, inoltre, è interessante notare come la scelta di contestualizzare al presente la scena sacra, ricostruisce con fresca immediatezza l’ atmosfera culturale della Matera aragonese. Il richiamo a quel particolare momento storico evidenzia, altresì, un aspetto importante che ci aiuta a storicizzare tale opera: non va dimenticato, infatti, il ruolo centrale che la famiglia Saraceno occupava in quel periodo nella nostra città. Gianmichele Saraceno sarà Vescovo della Diocesi di Matera –Acerenza dal 1535 al 1557 e a lui subentrerà il nipote Sigismondo dal 1558 al 1585. L’ ipotesi che emerge, dunque, è la possibile committenza diretta della potente famiglia in quella che poteva essere ormai la chiesetta privata all’interno del loro palazzo. A destra della Madonna è raffigurato un Sant’Antonio da Padova,(67) il più integro del gruppo, rappresentato con i canonici attributi iconografici del giglio nella mano destra e del libro sacro nella sinistra. Il volto, circondato da una essenziale aureola, si volge verso la scena centrale. Alle sue spalle si intravede un tendaggio scuro bordato di rosso che separa il santo da un indefinito secondo piano. Questo gusto scenografico, che teatralizza la spazio sacro, è riscontrabile ancora negli affreschi della Cripta dei 4 Evangelisti, come è possibile, ad esempio, osservare nel Sant’Eustachio che qui confrontiamo.(68) Nel riquadro alla destra della Madonna è riconoscibile un altro santo di difficile identificazione. In particolare, il volto risulta mancante perché spicconato; il saio nero su tunica bianca dichiara l’appartenenza all’ordine domenicano e questo particolare, unito ad un sottile fiotto di sangue (69) che bagna il petto del personaggio, farebbero pensare ad un San Pietro martire. Il santo è rappresentato, solitamente, con una mannaia infissa nel cranio e un pugnale nel petto (simbolo del martirio)che determina un flusso di sangue che cola lungo l’abito (come possiamo constatare nel San Pietro M. dei 4 Evangelisti).(70) Passiamo ora al riquadro affrescato, posto nell’angolo attiguo a quello del santo domenicano. Questo risulta profondamente deteriorato tanto da impedire qualsiasi ipotesi ricostruttiva. Si intravede unicamente un accenno di tendaggio scuro che, calando dal cornicione, incornicia la sagoma indefinita del personaggio. (71) In opposizione a questa, troviamo un’altra immagine molto interessante seppur in gran parte lacerata da profonde cadute di tonachino.(72) Partendo dall’alto, ritroviamo il medesimo tendaggio scuro con bordature rosse che esalta cromaticamente l’abito di un santo anche questo, come gli altri, posto in piedi intorno alla Madonna. I tratti fisionomici (73)sono in parte persi ma è riconoscibile, circondata dall’aureola, una corta capigliatura che incornicia l’ovale del volto e che richiama quella del San Eustachio prima mostrato. L’abito è caratterizzato da una lunga tunica ocra mentre le spalle sono ricoperte da un mantello rosso, agganciato in petto.(74) Anche in questo caso riconosciamo accessori del costume cinquecentesco, come lo stretto colletto a intreccio e le gonfie maniche merlettate.(75) Soffermandoci sulle mani del santo, in parte riconoscibili,(76) ci accorgiamo che la destra stringe, in alto, l’asta verticale di uno stretto stendardo crociato mosso dal vento, alle sue spalle, in senso orizzontale. La mano sinistra, invece, rivolta verso il basso appare arcuata nell’atto di riparare un animato, minuscolo gruppo di fedeli, (77) che spuntano in basso alla sua sinistra. La forma curva(78) della mano potrebbe simbolicamente ricordare la cupola di una chiesa a dichiarare il diretto intervento del santo a difesa dei suoi devoti. Tutta questa serie di indizi non può che riportarci al culto più vicino al cuore dei materani: Sant’Eustachio. Iconograficamente questa figura sacra è solitamente ritratta, nelle nostre chiese, a cavallo mentre avvista il cervo o armato di una grande spada o di lancia, quindi, questa, tematicamente, è una novità importante da ricondurre ad esempi adriatici (La Grelle individua tali assonanze anche per la Cripta dei 4 Evangelisti). L’attributo dello stendardo crociato appartiene a rimandi storico artistici ma l’aspetto della devozione popolare sarebbe sostenuto da quel particolare interessante a cui si accennava prima: tre o quattro figurette rapidamente tratteggiate a punta di pennello che unite alla posizione arcuata della mano, suggeriscono uno stretto legame con il santo. Non dimentichiamo che il culto di Sant’Eustachio è molto antico nella nostra città e affonda le sue radici nell’alto medioevo. Come segnala Pasquale Doria in suo scritto, lo storico ottocentesco Volpe sosteneva, in “ Memorie storiche e profane della città di Matera” che:”…l’attaccamento dei materani al santo è legato ad un avvenimento prodigioso riconducibile all’assedio subito dalla città nel 984, ad opera dei saraceni. La novellistica tradizionale narra che, invocato dalla popolazione affamata, S.Eustachio liberò dall’assedio Matera”. Il gruppo di fedeli, rappresentati secondo una prospettiva gerarchica, cioè di molto più ridotta rispetto all’immagine centrale, marca una distanza tra la sfera terrena e quella sacra come riscontriamo, anche, nel riquadro del medesimo santo(79) nella cripta degli Evangelisti. Qui è visibile un minuscolo ritratto del barbuto committente, genuflesso in compagnia di due giovani che richiama le figure prima citate. Queste, quindi, potrebbero raffigurare i committenti(riconosciamo anche delle figure femminili) o, più genericamente, l’intero popolo materano. Sarebbe interessante verificare tale interpretazione così come le altre prima avanzate e nel ricordare che il presente testo si pone come un primo, incompleto contributo alla rivalutazione di un altro frammento della nostra storia, concludo auspicando nuovamente che si possano attuare presto interventi pubblici e privati per il recupero e la fruizione di questo importante monumento cittadino. Angelo Palumbo (Mt - 25 - 03 – 09)




Commenti

Post più popolari